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domenica 20 marzo 2011

POIANO

Il toponimo deriva, secondo il Maffei, da Gens Pollia , e secondo altre interpretazioni, da Poggio di Giano.
Giano, antico re del Lazio e  divinità romana bifronte, rappresentava la porta della casa e della città; con una faccia guardava al dentro, con l’altra faccia guardava al fuori.
Considerando Poiano luogo privilegiato di uscita dalla città verso il contado, attraverso il valico collinare, la spiegazione del toponimo potrebbe trovare una qualche relazione col mitologico Giano. 
Di un edificio d’epoca romana importante, forse pubblico, messo in luce con scavi abbastanza recenti, abbiamo raccolto dati ed informazioni tra i residenti. Esso si trovava sotto alcune antiche case adiacenti a Corte Martina. Le nuove ristrutturazioni ne hanno compromesso qualsiasi recupero.
Poiano è uno dei primi castelli della Valpantena , precedente al 968.
Il paese è sorto intorno ad una preziosa fonte d’acqua; preziosa perché di buona portata e con acque di ottima qualità, come d’altronde sono storicamente sempre state quelle di Valpantena.
La fonte si trova sotto la Chiesa di Poiano e accanto alla vecchia chiesa, attualmente adibita ad oratorio.
I vecchi lavatoi di pietra sono stati sostituiti, come molti altri della Valpantena, con vasche di cemento intorno agli anni ‘50.
L'area della fonte è in degrado, chiusa e inutilizzabile. Accanto a quest'area sbocca una condotta molto bella, che porta grandi quantità d'acqua. Il flusso d’acqua ora si va affievolendo a causa probabilmente di ostruzioni a monte.
In un documento del 1300, (gli Statuti del 1278), si garantisce alla popolazione il prelievo quotidiano di "un secchio d'acqua a testa al giorno”.

Negli stessi Statuti di epoca comunale , i territori rurali pagando, si riscattarono dal dominio dei Signori e, nel caso di Poiano e della Valpantena, da diritti preminentemente ecclesiastici.
Il primo documento su Poiano è dell’803. Ratoldo Vescovo concede i diritti di decima alla Chiesa di S. Pietro in Castello; decima proveniente dalla cappella di Poiano.
Nel 968 il diritto viene rinnovato dal Vescovo Raterio e viene assegnata anche la giurisdizione sulla Cappella “... in territorio castri quod Puliano nominatur....”
Dal testamento di Engelberto di Erbè sappiamo di una donazione di una “curticella mea in un luogho ubi dicitur Puliano" nell’846.

Sappiamo che il castello nel 1139 viene dato in locazione ai vicini (abitanti del vico) di Poiano con l’obbligo di rifare le mura cum petra e calce.
Ai Canonici della Cattedrale, confermati nei loro diritti  nel 983 da Ottone I°, resta in esclusiva il diritto di albergarla o  FODRO (ospitalità e biada e foraggio ai cavalli)

Di Poiano va ricordato un efferato rapimento accaduto nel 1675 ad opera  di bravi al soldo di una potente famiglia locale, i Giusti.

La storia dell’Angiolina:  Il ricchissimo commerciante di Vero­na era  proprietario di palazzi e terreni sparsi in tutta la provincia veronese, nonché di una villa e di una tenuta in località Ca’ Nova  di Poiano.
I malviventi rapita la fanciulla, la  portarono  nel Ferrarese dove con la forza, cercarono di convincerla a sposare  il Giu­sti, allo scopo di appropriarsi dell’eredità della ragazza.
Il ratto fu commissionato ad una banda di buli (i bravi di manzoniana memoria) che avevano rifugio nelle grotte di Falasco sopra Cologne.
Il capo era un tal Paulo Bianchi e della banda faceva parte anche un prete spretato, che nella vicenda avrà un ruolo ambiguo.
L'intervento deciso e disperato di Giovanni Giacomo Leonardi, che si rivolse con numerose e accorate petizioni a vescovi, cardinali  e potenti,  costringerà i  Giusti  a consegnare Angelina al Legato Pon­tificio e a fuggire.
Dopo un mese e mezzo la ragazza potè tornare a casa a riab­bracciare i genitori, mentre Provolo Giusti il 18 settembre cadeva sotto la scure del boia per decisione del Con­siglio dei Dieci della Serenissima Re­pubblica di Venezia. Il fratello Zenovello fu bandito e il loro magnifico palazzo di Stelle fu demolito  per cancellare anche l’onta e il ricordo di quello  scellerato ramo della famiglia  dei Giusti di Stelle.
M.V.


Bibliografia:
Per un approfondimento sulla Chiesa dell’Altarol: 
Santuario Madonna dell’Altarol di Cesare Raveani a cura della Parrocchia di Poiano 1999.
Per la vicenda dell’Angiolina:
Angiolina a cura della Comunita Parrocchiale di S. Maria in Stelle 1988.
“La vera storia del rapimento di Angela Lonardi” 1977 - T. Marchiori Scarabello





Dal romanzo storico Angiolina di Pietro Caliari, 1884, vi proponiamo la descrizione del palazzo.
Riedizione curata da Luigi Antolini per la Comunità Parrocchiale di Stelle pag. 65-66, 1988.

... “Il palazzo dei Giusti distrutto: II principale palazzo dei Giusti sorgea, nel paesetto di Stelle, a capo d'un viale ombreggiato di bossi, cipressi e lauri, de' quali talu­no ancora sussiste, e precisamente dinanzi a un ameno giardino. Era sontuoso per isfoggio di architettura, con un gran cortile che sem­brava una piazza d'arme, ed era adorno di torricelle e di logge e di saloni, ornati di tappezzerie, e di stanze vagamente dipinte da Fran­cesco Torbido e da altri. La facciata presentava molti caratteri di stile gotico, tutta incrostata di pietra viva, e, come ne fa menzione anche Scipione Maffei, nella sua Verona Illustrata, qua e là scol­pita di eleganti distici latini. Le finestre erano intorniate da fasci di colonnette, da capitelli e ricchi ornamenti a traforo, e l'ampia ter­razza, che sporgeva sul portone d'ingresso, appariva sostenuta da ca­riatidi gigantesche, eseguite, con molta grazia, da scalpello maestro.
Se però l'esterno di questo palazzo era noto a molti, bisogna dire che l'interno di esso era un mistero. Gli abitanti del paese, girando di bordo alla larga, se ne tenean sempre a rispettosa distanza, perché tutto il meraviglioso v'era avvelenato dall'aria mefitica del delitto. Noi quindi non ne abbiamo che qualche vaga memoria conservata dal volgo, il quale, credulo sempre, non cessò ancora di ritenere che vi fosser pozzi con rasoi e trabocchetti e gabbie di ferro, e tante altre diavolerie inventate dall'uomo per martoriare i suoi simili, e non cessò mai di supporre le solite ubbìe; che cioè, per esempio, chiunque, in una sera di plenilunio, fosse passato dinanzi al cancello della villa o avesse guardato giù dal poggio sovrastante, dopo il segno dei mor­ti, avrìa visto aggirarsi di qua, di là, d'intorno, di sopra e dai lati, un'infinità di fuocherelli, di lemuri e di larve bianche, azzurre, gri­gie, che svolazzavano con ali da pipistrello ...e che poi, allo scocco della mezzanotte, vi si vedean dei grandissimi spettri, i quali si recavano a specchiarsi nelle fontane e nelle peschiere o si fermavano a dialo­gar sul davanzale delle finestre, o a segar bruscamente il violino sul­lo sporto della terrazza, e sulle punte dei pini, mentre altri spettri, deposto il candido mantello, abbandonavansi, roteando, a una dan­za macabra, simile a quella di Martino Schoen, o alla ridda descritta dal Goethe, o (per non uscire d'Italia) a quella di Clusone. Doveano allora, dalle glebe del vicino sagrato, uscir fuori a far capolino altri morti (a un dipresso come i diavolini di Norimberga dalle finte sca­tole di tabacco) e questi, dopo di avere scalato il campanile, della par­rocchia, e drappellatovi sopra un funereo panno, dovean plaudire con istridule fischiate, alle quali, lontano lontano, faceva uno scroscio di risa e di cachinni sardonici, che dovevano essere di Satanasso…”
 



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