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mercoledì 27 aprile 2011

LA CORTE DE LA IDA A MARSANA

Marzana dal 1952 al 1961

La Ida non è solo un mio ricordo; è una presenza che ritrovo nei ricordi di molte persone.
E' ormai parte della memoria collettiva del paese.
La Ida, maestra di vita per tanti ragazzini di Quinto e Marzana, era nata nel 1904 e fin dalla sua gioventù aveva ospitato "i buteleti" di Valpantena, dopo l'orario di scuola, nella sua casa alla chiesa, in fondo “a la pontàra”.
I più piccoli, col gavettino della pappa, li accoglieva già dal mattino presto.
La Ida aveva un aspetto massiccio e imponente che incuteva soggezione.
La severità del volto era soltanto leggermente mitigata da una cornice di capelli serici, raccolti a crocchia.
Aveva un vezzo. Inclinava lateralmente il capo con un tremito. Forse era un tic, un movimento che non controllava.
Era via via autoritaria o autorevole; dipendeva dalle circostanze.
Raramente era materna.
Le affettuosità le chiamava "sdilinque" e prendeva prudentemente distanza da qualsiasi manifestazione affettuosa.
Soltanto con i più piccini si lasciava andare con manifestazioni di tenerezza.
I baci allora erano sonori e poderosi. Come poderoso era qualche scappellotto. Non era manesca però.
Era soltanto figlia di tempi in cui si aveva consapevolezza dei ruoli e l’ordine dei valori non era messo in discussione.
Lei era la maestra, noi i "buteleti malmaùri".
Parlava spesso della biblica "pianticella da raddrizzare in tenera età" e si comportava di conseguenza.
I nostri genitori erano sempre d'accordo con lei.
La Ida era una devota alla Madonna di Fatima; il terzo segreto, non rivelato, la impauriva e l'intrigava in uguale misura. Con noi era categorica: sarebbe stata la fine del mondo, solo i buoni si sarebbero salvati, i cattivi avrebbero trovato posto tra le fiamme dell'inferno.
Le sue descrizioni erano accurate e precise nei dettagli. Le anime dannate "digrignavano i denti" e le fiamme dell'inferno erano "lingue di fuoco ardenti".
La Ida parlava abitualmente in dialetto; quando recitava le preghiere, leggeva le storie o citava frasi raccolte nelle sue letture si esprimeva in un italiano addomesticato così come addomesticato era il suo latino. Cambiava voce, espressione e persino postura: assumeva un’aria di importanza  e di enfasi che non potevi non darle ascolto.
Perciò i "danati che digrignavano i denti" (senza la doppia, alla veneta), mi sembravano ancora più tremendi e di monito.

La Ida da giovane, con la madre.
Sotto al terrazzino la Ida aveva costruito il suo piccolo asilo/doposcuola,
dove accoglieva e intratteneva i bambini di Quinto e Marzana.
Della Ida ho ricordi eccezionalmente vividi; alcuni olfattivi, molto intensi.
Dal profumo dei campi di grano maturo, quando con gli altri "bocia" percorrevo "la stradela" che dal Cristo di Lumialto continuava fino alla Chiesa di Marzana, al profumo di minestrone che permanentemente stagnava nella stanzetta a veranda della Ida.

Anche la Ida aveva un profumo di buono; ma questo si perde nei ricordi dei primissimi anni.
Si mescola a sensazioni di tenerezza e di sicurezza che mi trasmetteva quando, piccolina di tre anni, cercavo protezione contro i "maramàni" più grandi.
Non esisteva per la Ida un decalogo educativo che non fosse essenziale e di facile comprensione.

Tutto si poteva fare salvo pochissime cose, tutte ugualmente gravi: entrare nel suo orto, mancare di rispetto all'adulto, non dire a voce alta le "orassioni" (messa in latino e litanie) e tirarla per le lunghe con il proprio ricamo.

Dalla Ida si imparava a ricamare.
Punto erba, punto catenella, punto pieno, orlo a giorno (per le adolescenti che preparavano il corredo).
Anche i maschietti e i più piccoli avevano un loro ricamo.
L'unica cosa risparmiata ai maschi era l'uncinetto, a parte qualche caso raro.
Dopo preghiere lunghe e circostanziate, per i vivi, per i morti, per la Madonna e qualche specifica ricorrenza, la Ida ci raccontava LA STORIA.

Le storie della Ida erano veri e propri pezzi teatrali , a puntate.
Le sapeva raccontare come nessun altro.
Lei poi , le sospendeva sempre "sul più belo", quando l'eroina era in pericolo, o il cavaliere era "ne le ambasce" (altra parola sua).
Tutti in coro allora si implorava:
- "Ancora Ida, ancora".-
Lei però era irremovibile e difficilmente si lasciava commuovere.

La storia del rapimento "del'Angiolina de la Ca' Nova", io l'ho sentita da lei.
La raccontava a memoria, anche se ricordo un vecchio libro, logoro e con alcune pagine staccate ma con la copertina ricoperta, del quale lei era gelosissima.

La Ida sapeva ricamare con arte e insegnava a noi ragazzine la pratica del ricamo.
Preparare il corredo per la futura famiglia era, per tradizione, compito della giovane.
La Ida però metteva a ricamare anche qualche maschio, come antidoto alla turbolenza credo. 

La Ida amava i libri. Forse non ne aveva molti, ma li leggeva e rileggeva.
Alcune storie le aveva trascritte su dei quaderni dalla copertina nera che ogni tanto consultava.
Conosceva un'infinità di canzoni e di poesie e aveva frasi di circostanza adatte ad ogni occasione. Molte filastrocche della mia raccolta provengono da questo contesto di gioco.
Anche le commedie le conservava trascritte su quadernetti neri.
Allestiva per noi e con noi spettacoli con veri costumi che confezionava ricavandoli da vecchi abiti.
"Proàr la comedia" era uno spasso per tutti, oltre che una grande emozione.
La Ida, quaderno alla mano, recitava con enfasi tutte le parti. Poi toccava a noi.
Era molto esigente perciò potevamo star ore a provare la recita.

"Mamaluchi" ci rimproverava (ricordi d'Africa e delle colonie); ma non mollava mai.
E alla fine il risultato era sempre all'altezza delle sue aspettative e delle esigenze di un pubblico comprensivo che godeva di pochi svaghi.
La commedia di Santa Lucia
Da sx: Flavia, Giordana, Liberina, Paola, Marisa, ?

Tutti i piccoli attori protagonisti della commedia della Ida, bambini di Marzana e Quinto
Santa Lucia 1958
La Ida non dimenticava mai "Santa Lussia". I regali c'erano sempre e per tutti.
Certamente chiedeva contributi ai genitori ma qualcosina c'era, magari una "ruela de liguirissia" o " 'na naransa". Le nostre (rare) bambolette di celluloide le rivestiva a nuovo per l’occasione.
Santa Lucia era sempre vestita di bianco, col vestito di qualche sposa recente.
Naturalmente era “orba” col viso coperto da un velo.
Era accompagnata dal "gastaldo" (dignitosamente vestito di nero, con bombetta sul capo) e seguita dal "musso" che la Ida chiedeva in prestito al Biciclin.
Noi si diceva una poesia alla Santa, per avere in premio un po' di caramelle.
Di solito una bambina, scelta dalla Ida, faceva "i omaggi a Santa Lussia", a nome di tutti; belle parole scritte dalla Ida e mandate a memoria.
E da tutti noi tutti la prescelta era demandata a scoprire il mistero degli occhi.
- "Guarda se la g'à i oci - guardeghe soto, se gh'e i busi udi".-

E poi si sussurrava facendo capannello - "Gh'eto visto i oci?"

Forse per l'emozione nessuno di noi era mai riuscito a mettere a fuoco bene il volto della Santa.
Forse non lo volevamo nemmeno. Temevamo di irritare Santa Lussia con la nostra curiosità.


Conservo, insieme ai ricordi, un ricamo che ho fatto sotto la guida esperta della Ida. E' un prezioso ricordo, profuma di gioventù.
Mi fa ricordare le passeggiate della buona stagione, dai Canestrari a metà collina o "dale signorine vissin a la colonia".
Ricordo i giochi durante questi pomeriggi magici nel parco vicino alla Colonia degli Orfani di Guerra.
Dame taciturne e misteriose, per noi niente più che apparizioni.
Con la Ida però le signorine parlavano a lungo.
Quando lei entrava "diese minuti par un cafè" noi sapevamo che il caffè sarebbe stato lungo; si poteva contare su un pomeriggio intero di giochi sfrenati, perché la chiusura del doposcuola della Ida era comunque sempre flessibile; gli orari si adattavano alle esigenze delle famiglie e dei bambini. E anche della Ida.
Io frequentavo con orario intero fino ai sei anni e poi, come tutti, solo il pomeriggio, dopo la scuola.

A cosa si poteva mai giocare nel parco di una villetta che a noi allora sembrava un castello incantato?
A Son marinaio, gioco di destrezza  che cantato in italiano ci faceva sentire grandi ed evolute sul piano sociale.

Son marinaio
marinaio della Marina
porto le chiavi
dell'oro e dell'argento
Son marinaio
di questo bastimento
Finchè l'Italia
più libera sarà
Para papà papà (2)

Oppure al più rustico  Elo coto el pan

Elo coto el pan?
L'è un pò brusà
Ci è stà?
La Paolina

Pora Paolina
legata a le catene
fra mile pene
te tocarà morir
Oilì oilà
la Paolina encadenà

Era un gioco un po' complicato. Si formava una fila che man mano diventava catena con l’intreccio di braccia distese, mano nella mano, a far da ponte, sotto al quale doveva passare il capofila. Uno alla volta i bambini si incatenavano girando le spalle al gioco. Alla fine, senza slegarsi, tutta la catena si spostava a formare un cerchio e si cantava:

E tira mola e mola tira
Tira mola e mola tira
Tira mola mola tira
Tira mola lassa ‘ndar.

E si giocava "a l'Angiolina" naturalmente. Una storia vera, romanzata nell’ottocento dal Caliari, che narrava di un fatto accaduto due secoli prima: un rapimento a scopo di estorsione.

Dame, principesse, brutali rapitori, banditi di Falasco, cavalieri valorosi e buli feroci s'incrociavano tra le siepi di bosso.
Lo scialle ad uncinetto, unico indumento che noi bambine usavamo nella mezza stagione, diventava la gonnella della dama e i bastoni si trasformavano in spade per feroci duelli.

Cara Ida.
Quelli di noi che sono passati per "la sua corte" (così chiamavamo il suo doposcuola) non hanno dimenticato.

Non era "dona de mese misure" (come amava puntualizzare) e non poteva non lasciare dentro di noi l'impronta del suo passaggio.
Ultimamente, io ero già grandina, soffriva per la concorrenza dell'asilo parrocchiale e per l'istituzione dei "doposcola comunali"; ma noi "buteleti dela Ida", ci ritenevamo dei privilegiati.
Senza saper dare un significato al nostro sentire, ci sentivamo spiriti liberi.
Dalla Ida eravamo autentici, come "polastri ruspanti".
Il doposcuola delle "scole comunali" lo pensavamo come un luogo noioso.
La Ida lo chiamava "la caponàra".

Cos'erano quattro mattoncini di legno con cui giocare, qualche matita spuntata, o mezz'ora di ricreazione a confronto di un mondo intero da scoprire a piacimento?
Un mondo che ci apparteneva perché la Ida generosamente ce lo regalava tutti i giorni? (escluso il suo orto, naturalmente.)


Ida Mantovani  (nella foto a dx)
Fotofrafia della Famiglia Mantovani
Per gentile concessione


3 commenti:

  1. ...sono Gianfranco, ho passato tre anni da Ida, molto bello questo ricordo in sua memoria, ne vorrei sapere di più.

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  2. ...ricordo che la mà poncià un biglietin sul maion par comunicarghe qualcosa a me mama....mi prima de rivar a casa l'ho stacà !

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    1. Grazie del tuo ricordo. La curiosità è però forte: cosa c'era scritto sul bigliettino? Ciao Marisa

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