La Verona pre-romana è una zona di incontro culturale tra Veneti Celti e Reti.
Intorno al 390 a.C. un’orda di Galli delle tribù dei Boi e dei Senoni, stanziati nell’odiena Emilia centro-orientale e nell’Alto Piceno, valicati gli Appennini, invasero Roma.
Le postazioni lasciate sguarnite vennero assalite da tribù venete.
L’intervento è raccontato da Polibio, una fonte autorevole che si avvalse di fonti annuaristiche come Fabio Pittore.
Nel 2° sec. a C. i Veneti vengono considerati amici e alleati di Roma.
Nel 39 a C. viene promulgata la legge Roscia e Verona diventa Municipio Romano iscritto alla tribù Poblilia.
I cittadini godevano pertanto di diritti elettorali attivi e passivi.
Dopo l’uccisione di Cesare (44 a. C.) lotte civili insanguinarono la penisola ma niente fa pensare che la pace dei territori veronesi fosse turbata.
Nel 27 a.C. Ottaviano riceveva il titolo di Augusto e nasceva l‘Impero Romano. Nell’ampio quadro di riforme fu inserita la divisione del territorio in 11 regioni. Verona entrò a far parte della 10^ Venetia et Histria.
L’incremento delle operazioni militari nella fascia alpina vide Verona centro strategico importante sia militarmente che commercialmente.
Nerone Claudio Druso, fratello di Tiberio e padre di Claudio, procedette alla sistemazione della strada in Val d’Adige, finita poi da Claudio e chiamata Claudio Augusta.
(La Postumia fu costruita nel 148 a. C.)
Strabone paragona per importanza Verona a Milano e la definisce “grande città” (la massima era Padova)
Di età auguestea sono le opere maggiori: Terme in zona Duomo - Teatro Romano - villa di Valdonega - il Capitolo con gli edifici pubblici. L'Arena si ritiene del 30 d.C.
Nel 100 d. C. Verona fu luogo di scontro tra Romani e orde Barbariche.
A questo periodo si può approssimativamente assegnare la villa romana di Poiano mentre l’Ipogeo di Stelle risale ai primi decenni del 200 d.C.
A questo periodo si può approssimativamente assegnare la villa romana di Poiano mentre l’Ipogeo di Stelle risale ai primi decenni del 200 d.C.
La vita sociale nel territorio rurale
La Valpantena romana si connota con la centuriazione, opera di divisione del territorio con l'assegnazione dello stesso ai veterani di guerra come buona-uscita, e con l’insediamento di importanti famiglie di rango nel territorio vallivo; famiglie chehanno lasciato tracce interessanti.
Ma come vivevano i comuni cittadini, quelli che nella Roma imperiale erano chiamati plebe urbana se risiedevano nell’urbe o plebe rustica se risedevano nell’agro?
Fino al 212 (Editto di Caracalla) esisteva una fondamentale differenza tra i cives romani e quelli che non lo erano, cioè i provinciales o i pellegrini, sia a fini giuridici che economici.
La plebe rustica viveva lontana dalle comodità cittadine ed era emarginata dalla cultura e dai modi di vita dei ceti superiori ma i suoi bisogni primari erano garantiti dall’agricoltura e dall’allevamento. L’accorpamento delle terre aveva creato il latifondo, anche se non è il caso della Valpantena.
Publio Pomponio Corneliano non doveva farsi vedere spesso da queste parti e probabilmente lasciava la gestione delle su terre ad un vilicus (uno schiavo) che curava l’amministrazione del fondo.
Il sistema schiavistico aveva una intrinseca debolezza; serviva equilibrio tra terre, lavoranti e sorveglianti per mantenere produttività. Spesso si sostituivano gli schiavi con coloni liberi (affittuari) un rapporto agrario simile alla nostra mezzadria.
All’inizio il rapporto di rivelò efficace. Successivamente si ritorse contro i coloni trasformandoli a poco a poco in servi della gleba.
Sicuramente, pertinente alle condizioni ambientali, in Valpantena si praticava attività di caccia sia in valle che sulle boscose colline.
Certamente la piccola selvaggina dei boschi della Valpantena allietava le mense di Verona romana.
Il pesce era conservato sotto sale e dal pesce salato e fermentato si ricavava il garum, una salsa speziata con erbe aromatiche, molto apprezzata.
Era conosciuta una sorta di polenta, ma di farro e di orzo. Il frumento era presente sulle mense dei romani. Il libum era un pane celebrativo, di offerta agli Dei, un misto di farina e formaggio.
Carne di allevamento ne veniva consumata assai poca dal popolo. L’apporto proteico era fornito dai legumi.
Carne di allevamento ne veniva consumata assai poca dal popolo. L’apporto proteico era fornito dai legumi.
Il riso non era conosciuto
Una pappona di cereali era chiamata puls ed era parte integrante della dieta così come, dal II° sec. d.C, anche il pane.
Si consumavano ortaggi ma non esistevano pomodori, patate melanzane, fagioli.
Si consumava frutta e frutta secca.
La frutta cotta col miele era considerata un contorno.
Il latte era di pecora o di capra.
Si consumavano formaggi. Tra i volatili non era conosciuto il tacchino. Poco consumata era la carne bovina e quasi per niente quella di cavallo.
Le coltivazioni agricole erano a vite ed olivo, probabilmente poco estese.
Le fosse limitales lungo i confini delle centurie provvedevano alla distribuzione dell’acqua sulle coltivazioni. Si può trovare un qualche collegamento con i fossatelli che i nonni chiamavano seriole e che, con il medesimo uso, disegnavano reticoli ordinati nelle nostre campagne fino al secondo dopoguerra.
I vini della Valpantena e dell’Agro veronese erano apprezzati sulle mense romane. Il consumo di vino nella capitale Roma era di 14 litri al mese per abitante. Il vino veniva bevuto mescolato all’acqua o al miele, ma anche acqua di mare o spezie o resine odorose. Il vino era considerato un alimento importante tant’è che era garantito nelle razioni degli schiavi. A differenza dei Greci che usavano le anfore vinarie i Romani conservavano il vino in barili di legno o in bottiglie di vetro, introducendo blandamente il concetto di annata e di invecchiamento.
Non esistevano invece liquori perché non era conosciuta la distillazione. Saranno gli Arabi nel 700 d.C. a introdurla ma per uso cosmetico. In Europa arriverà in pieno Medioevo, nel 1100, inizialmente a scopo curativo.
L’esistenza in Valpantena di acquedotti fa ritenere probabile anche la presenza del vilicus plumbarior (um) cioè uno schiavo addetto alle condotte e alla fabbricazione, riparazione e sostituzione delle fistulae o condutture.
Non si può neppure escludere la presenza di qualche artigiano. Un dendrophoro cioè un falegname. Le colline erano la fonte principale di legname sia da costruzione che da combustione.
La località Folloniano a Marzana nella zona dei Mulini (zona ricca d’acque) rimanda alla presenza di fullones cioè addetti alla follatura della lana. La Casa del Fol è rimasta nella memoria collettiva fino a qualche decennio fa.
Il Buonapane afferma essere esistite cave in Valpantena. Porta Borsari e Porta Leona sono state costruite con pietra bianca della Valpantena.
D’altronde il mausoleo romano a pianta circolare le cui pietre erano sulla piazza della Chiesa a Grezzana e dalle quali si è dedotta l’ampiezza del mausoleo (oltre 20 metri di diametro) probabilmente erano di una una cava locale.
Un secondo edificio circolare, dice il Franzoni, accompagnava il primo
Che rapporti avevano i nostri antenati romani con la città?
Tutta la storia della bassa Valpantena è influenzata dalla vicinanza con Verona.
La voce dell’urbe proveniva dal praeco, un banditore che girava nei piccoli pagi.
La religione era certamente quella pagana e solo più tardi, rispetto alle aree urbane, penetrò la religione cristiana.
L’Ipogeo di Stelle fu convertito in sacello cristiano nel IV° secolo e la prima Pieve, quella di Grezzana, è del V° sec.
Nell’alto medioevo resiste ancora un toponimo Vicus Veneris che è di chiara derivazione romana; l’attuale chiesa sorge infatti su una cripta dedicata a Venere (reperti sono conservati nel giardino di villa Vendri).
Di Marzana sappiamo di una dedica alle Iunones o Matrone.
Incerta è invece la collocazione di un luogo denominato Ad Lares dedicato ai Lares Compitales per i quali si costruiva un compitium o tempietto in muratura, in genere agli incroci stradali.
Per andare e venire dalla città si impiegavano due ore di cavallo ma si andava anche molto a piedi. Lungo le strade c’erano le pietre miliari.
Il toponimo Quinto deriva da Quinto ab urbe lapidem cioè la distanza in miglia dal centro cittadino.
Secondo il Maffei deriva dalla Gens Quinzia.
Le due direttrici pedemontane esistenti erano sicuramente le più frequentate, intersecate da allaccianti come sono tutt’ora anche se dovevano essere poco più che sentieri. alcuni forse carrabili per il trasporto della merce.
In genere si viaggiava coi carri: dal cisium (calesse a due ruote) al carruca (carro pesante da trasporto), per i lunghi viaggi, anche notturni, si usavano carri coperti.
Non essendo ancora inventato il pettorale i muli e i cavalli tiravano per il collo e quindi per i carri da trasporto si usavano i buoi, con un conseguente rallentamento dell'andatura.
Ogni 15 miglia c’era la stazione di posta. A questa si appoggiava il servizio postale (cursus publicus) che però era riservato all’amministrazione pubblica; i privati erano autorizzati a servirsene soltanto dall’imperatore.
Si ricorreva a corrieri a pagamento. Sembra strano ma la posta riusciva a coprire 75 chilometri al giorno.
Cercherò di elencarvi ora i ritrovamenti archeologici segnalati dai testi o che personalmente ho raccolto dai racconti dei contadini.
E’ pur vero che nell’immaginario collettivo della nostra gente ci sono ricordi di vitelli d’oro, templi, pignatte piene di sesterzi, ma è pur vero che ciò avviene un po’ ovunque, almeno in Italia.
Certamente la presenza romana nella bassa Valpantena è ben testimoniata.
Per il Monte Tesoro, che conserva ancora questo nome, il toponimo è quasi certamente dovuto alla presenza di sepolture romane.
Di Poiano, il cui toponimo deriva, secondo il Maffei, da Gens Pollia, abbiamo una iscrizione in memoria di Valerio Grato (Stele centinata con epigrafe) e un cippo con busto in rilievo di una piccola defunta di quattro anni, Cornelia Marcella di Marco.
Di Poiano sappiamo dai residenti di un edificio di ampie dimensioni posizionato a valle della Corte Martina.
Per quello che ci è stato possibile vedere dalle emergenze archeologiche l’edificio doveva essere di una certa importanza: due mattoni sesquipedali con orme di animale (cane?), tracce di intonaci affrescati, tubuli a parete che fanno pensare alla presenza di hypocaustum (sistema di riscaldamento a parete e a pavimento), area pavimentata di tufo giallo con residui di combustione, embrici.
Poiano d’altronde era il paese meglio accessibile dalla città, attraverso la collina detta ora di Castel San Felice (castello visconteo demolito nel 1801 con la pace di Lunenville).
Per Quinto abbiamo soltanto l’indicazione miliare però sulla strada per Stelle ,vicino dalle pertinenze dell’antichissima chiesetta di S. Cassiano, prima del Progno, abbiamo una dedica a Giove Conservatore da parte di Publio Pomponio Corneliano (reperto notificato come perduto).
Quinto, sembrerebbe non essere stato un insediamento importante nella valle. Ben più attestato già dal primo medioevo è Limetalto (Limesalto o Lumialto = Terre Alte)
Per Marzana, probabile derivazione dal nomen della Gens Marzia abbiamo segnalazioni nella Monografia Sormani Moretti (1904) di “ avanzi d’acquedotto, un tempio a Marte e una Villa dei Valerj...”
I ritrovamenti del 1882-83, durante gli scavi per l’edificazione della nuova chiesa, sono ancora visibili in loco.
Trattasi di un sostegno di una tomba a tavola o a mensa funebre, di un capitello con epigrafe a Lucio Sergio Vero e colonne tortili probabilmente di una dimora di decoro di quell’epoca.
Di Marzana abbiamo anche una stele di Lucio Valerio Locusta e una epigrafe di Marco Cassio figlio di Licinio.
Il Mor parlando di Marzana ipotizza un collegamento con quel Marciano che ebbe parte attiva nelle guerre gotico-bizantine nel 541.
Sempre secondo Mor il luogo, da dimora di decoro per patrizi romani in periodo di fulgore dell’impero, divenne villa fortificata cioè luogo di difesa.
Sullo stesso luogo fu ritrovato un capitello molto elegante la cui grandezza fa pensare a una colonna di un tempio. Si trova in chiesa .
Da Grezzana, centro della valle, oltre alle pietre del mausoleo circolare abbiamo un’ara cilindrica con decorazioni a foglie d’acanto e festoni floreali con iscrizione di Annio Antus, ora in chiesa.
Sul fianco della chiesa è murata un’altra epigrafe frammentaria posta da Claudio Saturnino per se e per la moglie Ponzia Padana.
Sempre di Grezzana è una lapide tombale di Novella Severa e di Gaio Lelio Optato.
Abitazioni romane sono emerse nel livello delle scuole medie.
A Grezzana fu ritrovato nel 1886 un Lare bronzeo.
La Monografia Sormani Moretti segnala nel 1904 “… parecchie lampade, vasi, vetri e minuti oggetti di fattura romana e preromana, rinvenuti sottoterra nell’ambito del comune e fra tutti un notevole e singolare ben conservato compasso.”
Scendendo sul tracciato della pedemontana orientale troviamo Cellore (Ricordato come Cellulas nel 909) dove è ricordato un luogo di culto preromano e poi romano.
Secondo la Basignano il Cellarius era un cantiniere (da celle olearie). Rientrava nel culto di Serapide, dio egizio, come custode di un tempio. Esso trova altre attestazioni nel veronese.
A Sezano a S. Lorenzo si trova una epigrafe mutila con figura in rilievo.
Di Stelle ricordiamo l’Ipogeo. I contadini hanno segnalato un recente ritrovamento di due tombe.
A Gazzol vicino a villa Balladoro fu scoperta una piccola necropoli con una cinquantina di tombe e un bellissimo cinerario greco riprodotto dall’Orti.
A Nesente viene segnalata una dedica di Quinto Samicius Successus.
A Novaglie il Grancelli segnalava una necropoli romana a Praelle. I contadini segnalano presenza di tombe sul dosso sopra Novaglie e sempre a Praelle è segnalato un possente muro di contenimento, sepolto, sul crinale verso il vajo di Balladoro.
In centro valle sulla bretella della Tangenziale sono state poste in luce le fondazioni di modeste abitazioni romane
Un’altra abitazione rustica si trovava nella valletta di Villa Bombardi sotto la collina.
Questa era la Valpantena romana.
Una terra sicuramente abitata, con scambi con l’urbe, con una vita civile e religiosa che si delinea con i ritrovamenti archeologici.
Tornando alle vicende romane, che influiranno anche sul territorio veronese e sulla Valpantena dobbiamo dare parola ai libri di storia.
Il susseguirsi degli attacchi dei barbari prelude la fine dell’impero.
Nel 268 quando Gallieno viene ucciso a Milano, le città sono spopolate, le campagne abbandonate, crollano produzioni e commerci, si sviluppa il brigantaggio. Traggono vantaggio dalla crisi solo i militari e i ceti burocratici.
L’estensione dell’impero e ragioni militari inducono Diocleziano a spostare la capitale dell’impero a Nicomedia sui confini orientali ,
Massimiano viene associato all’impero e controlla l’Occidente (287)
293 - si istituisce la Tetrarchia con Galerio e Costanzo Cloro.
Dopo l’abdicazione di Diocleziano Galerio e Costanzo diventano Augusti e assumono uno la guida dell’Oriente e l’altro dell’Occidente.
Emergono due personaggi: Costantino, figlio di Costanzo e Massenzio figlio di Massimiano.
Tralascio le lotte tra Massenzio e Costantino perché mi interessa parlare essenzialmente di quest’ultimo per una atto politico importante che ne ha caratterizzato il governo,
Figlio di Elena e Costanzo Cloro regnò dal 306 fino alla sua morte. Egli, con l'Editto (impropriamente detto) di Milano, riconobbe la pari dignità di tutte le religioni.
Si diffuse la religione cristiana che divenne religione ufficiale dell’impero con Teodosio.
Cominciarono in questo periodo le elargizioni e le donazioni alla Chiesa Cattolica che interessano nella nostra storia perché preludono la formazione dei CENOBI e la nascita di centri di potere e ricchezza come i monasteri.
A luoghi di culto pagani si sostituiscono luoghi di culto cristiani.
A festività pagane si sostituiscono festività cristiane.
L’aristocrazia, per fedeltà all’imperatore riottosa ad abbandonare la vecchia religione, cede e si converte.
Anche nelle campagne si diffonde la religione cristiana. Nell’agro si restava fedeli ai riti collegati ai cicli stagionali e ai riti legati alla terra e alla sua fertilità; servirà più tempo per accettare il nuovo culto.
Nascono le pievi da plebs =popolo indicando il popolo cristiano, la sua chiesa e il territorio. Quella di Grezzana sembra fosse dedicata a S. Maria (dal Concilio di Efeso e Calcedonia che ne aveva definito i dogmi).
Dalla Pieve dipendevano le cappelle. La Pieve aveva la fonte battesimale e godeva del diritto di decima (decima parte dei prodotti della terra) che a sua volta, nella misura della quarta parte (quartese), trasferiva alla Chiesa vescovile.
M.V.
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