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martedì 26 aprile 2011

A MORURI A PIE' ...


Da bambina ho avuto la fortuna di avere accanto persone  che sapevano ancora raccontare le storie.
"Vien qua bela che te conto quela de l'orso".
L'orso nella storia non c'era mai, ma si ascoltava il racconto con grande attenzione.
Forse è questa la ragione per cui ancor oggi mi appassiono molto al racconto, sia ascoltato che letto.

Una di queste persone, affabulatrici per tradizione, era zia Angela, una donna energica, generosa, nubile  e di carattere socievole e allegro.

Quando una non si sposava, dalle nostre parti si diceva "l'è butela".
Chi si chiamava Maria, ed erano parecchie a chiamarsi con questo nome, se restava nubile era sicuramente chiamata "Mariabutela" dove il nome e la condizione anagrafica si sposavano a meraviglia, quasi in forma musicale.
"Angelabutela" suonava più difficile ma comunque la zia, sorella di nonno Enrico, butela era rimasta. 
Le storie della zia spaziavano dai racconti della tradizione popolare ai racconti di vita vissuta; da fatti inventati a scopo educativo a miracoli  o accadimenti edificanti  a carattere religioso.
Anche se inventati i racconti avevano sempre uno sviluppo che potrei definire classico, in quanto corrispondevano ai canoni della narrazione popolare: il buono che trionfa e vince, il cattivo che viene punito, il debole o il fragile che cerca e trova compassione, l'astuto che può essere buono ma anche cattivo e perciò premiato oppure punito... e c'era sempre un salvatore e una salvata, in genere la bella e buona ragazza.
Le storie della zia finivano sempre con "Gato sgonfo, gato pelà, contela ti che mi l'ò contà".

Una delle storie della zia era:
Me ricordo quando 'ndava dal sio prete a  Moruri ...

“A Verona ghe ‘ndava  a piedi o col musso. Qualche volta trovava qualche caretier che me fasea montar sul careto ... .
I siori i g'avea la carossa. Me ricordo che qualched'un g'avea anca l’automobile.
I contadini  i ‘ndava col careto. Poareti. Contentarse parchè gh'era tanti che 'ndava a piè.
Mi andava a catar el prete de Moruri, l’era parente.
Quando l’era ora de Quarantore 'ndava a netarghe casa.
Partìva la matina bonora che gh'era ancora scuro ... me fasea el segno de la croce e fasea la stradela del ponte de banda. Gh'era cossita scuro che no te vedei gnanca el campanil de le Stele! 
Andava su par Maroni (S.Maria in Stelle) e dopo  zo  dall’altra parte nel Squaranto ... e po’ ancora su ... a rampegarse fin al pian de Castagnè.
Rivava straca, ma gnanca tanto; par strada, par farme compagnia, diseva tute le orassioni a voce alta e tute le giaculatorie ... .
No g'avèa mia paura. Era abituà. Quando ero picinina ghe portava sempre la colassion al nono, su al Pigno soto San Vincenso (di Quinto)!

Eh, l’era un bel viaio 'ndar a Moruri a piè... adesso i è tuti siori e i va tuti con l’automobile ... parquela ... 
Se discore ma l'automobile l’è ‘na bela comodità! 
Me fradel l’era tanto bituà a farla a piè che el vegnea da Borgo Trento, zo par le Toresele a catar me pora mama anca quando i l’à  fato general.

Raccontato in vita da Angela Allegri nata a Quinto nel 1902

Butele di Quinto in gita a Madonna della Corona 1920 circa
Da sx in prima fila Celestina Ferrroni e Angela Allegri.
Prima a dx Maria Zoppi

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