Quinto e la strada granda.
Si arriva ai Malfatti, dove sono nata,
attraverso la strada granda che da
Verona porta alla montagna prealpina, i Lessini.
Ora è una strada asfaltata assai
trafficata, in parte declassata per un nuovo tracciato a centro valle, la SP6,
che qui chiamano superstrada, con la
stessa ridondanza con cui il primo palazzo di Grezzana era stato chiamato el grataciel.
Ai tempi della mia infanzia la strada granda era una strada bianca,
polverosa, segnata dalle ruote dei carri e dagli escrementi degli animali.
I cigli stradali in primavera
erano sempre fioriti, con l’erba alta mossa dalla brezza, come in un quadro di
Monet.La strada, poco frequentata da mezzi a motore, era usata da noi bambini come luogo di giochi.
L’altra pedemontana, ad oriente,
collegava la valle con la via Postumia a sud, nella grande pianura.
Fin dal medioevo era usata per
raggiungere il mercato di San Michele di Campagna. Ora si usa come alternativa
alla più trafficata Via Valpantena.
A
lato della strada granda, dal
1922, c’erano le rotaie del tram della Saer, società per il trasporto pubblico, di emanazione della grande Breda di Milano.
Il piccolo treno su rotaia, in
dialetto el tranvai oppure el trenin, fu una grande conquista
sociale della città e delle sue periferie e andava a sostituire carretti,
calessi, biciclette e quello che dalle nostre parti si chiamava el caval de San Francesco, cioè l’uso
abituale delle gambe.
- Gambe in spala e trotta - si diceva a quei tempi.
Anzi trota perchè le doppie, per noi veneti, non sono affatto
importanti.C’erano, ai margini della strada granda, anche radi quanto opachi lampioni notturni, sempre visitati da cerchi di falene. Erano sostenuti da un palo di legno, col filo isolato dalle chicare di porcellana e con la lampadina protetta da un arrugginito piatto de banda.
El piato oscillava pericolosamente nei giorni di vento, creando di notte ombre inquietanti sui muri delle case e sulla strada.
La strada granda aveva cucito tra loro piccoli gruppi di case disperse, casali e cascine, ricalcando un vecchio e più labile tracciato, conferendo senso ed ordine al centro valle, riorganizzandone la casualità. Una strada senza un suo particolare carattere, non bella ne speciale; senza un nome preciso se non quello funzionale a indicarne la diversità rispetto ai viottoli minori, alle stradelle e alle scavessàgne (sentieri campestri).
Ecco, potrei annotare un particolare curioso, una sola piccola differenziazione toponomastica …
Là, dove la stradella della chiesa parrocchiale incontrava la strada granda, la prima chiusa come le altre tra i muri di sasso del brolo principale (un fondo chiuso), l’incrocio prendeva il nome di Strà, semplicemente Strà e basta. E queso toponimo, con le stesse caratteristiche, ea doppiato anche all'incrocio di Marzana, dove ora c'è il semaforo.
Dal dopoguerra la strada granda, da Poiano in poi, per una lunghezza di cinque, sei chilometri, si chiamò Via Valpantena, con una ovvietà che rispecchia però l’importanza del tracciato come nuova via preferenziale da e per Verona.
Nel tempo, ma siamo ancora nella pima metà del secolo, alla Strà avevano aperto l’officina
del bandar del Zopi (il fabbro) e quella del Fatuto, la bottega del scarpolin, la botega dei Alegri, l’ostarìa della Maria latàra, col zugo de le boce e la television,
unica ostarìa di Quinto chiamata all’epoca,
chissà per quale slancio esterofilo, bar de la
Maria latàra.
Di fronte agli Allegri c’era la
pesa e l’ufficio del Dazio (o dassio)
con i dassiai che a metà mattina
entravano a bottega per farsi fare un panetin
col sgombro e le seolette e, con il panino ancora gocciolante di olio,
avvolto nella carta gialla e porosa, se ne andavano dalla Maria latàra a completare la colazione col goto de vin. Il tutto a gratis naturalmente.
Prestigioso emblema della lotta
nazionale all’analfabetismo, era sorta, alla Strà, anche una Scuola Elementare
ad opera del Comune di Verona, perciò detta dai compaesani scola comunale, con la o stretta stretta, e sentimenti ambivalenti
come l’orgoglio par la novità de
l’istrussione dei fiòi e il disagio per la sottrazione di braccia utili ai
lavori nei campi.
Nello stesso edificio c'era l'Ufficio del Dassio, con la pesa.
Accanto alla scola comunale un monumento ricordava i compaesani caduti nelle due
guerre mondiali del millenovecento. Il monumento restava invisibile,
sonnacchioso e solitario per tutto l’anno, degno solo di qualche sguardo
distratto.
Il 4 novembre era come si
risvegliasse dal lungo e pesante letargo; una processione partiva, dopo messa,
dalla chiesa parrocchiale, guidata dai maschi del paese con cappelli d’alpino,
gagliardetti e bandiere. Veniva deposta una corona di alloro ai caduti e veniva
commemorato, con voce squillante e parole dense di retorica ma che arrivavano dritte al cuore dei Reduci, l’eroismo
patriottico dei giovani defunti di Quinto, caduti in battaglia nelle due grandi
guerre del novecento. La corona, icona di una pietas ancora viva ma non più lacerante, rimaneva ad essiccare tristemente sul monumento fino all’anno successivo, quando le donne del paese e lo stradino comunale ripulivano l’area.
I Malfatti, dove sono nata, erano
più su, a nord, oltre le case dei Grassioli
falegnami, el capitel de la Madona , oltre el bagolaro e l'ostaria del Perlar, l’osteria di sosta dei caretieri, dopo i Zanella e i Corso e
prima della corte dei Costanzi, i Taliani.
I caretieri, maggiori fruitori della strada granda, scendevano carichi dai Lessini e dall’alta valle
trasportando ghiaccio, carbone, farina dai molini di Lugo, laste de piera, legname e prodotti orticoli per il mercato
cittadino. All’epoca trasportavano anche
granulati, una novità degli anni cinquanta che contribuì al grande
cambiamento della media valle.
Già circolava qualche raro camion,
guardato senza più sorpresa, e qualche auto; quella del conte Arvedi, la Millecento del Sante,
che faceva servizio di taxi, la
Topolino del mio papà e poche altre.
In genere i caretieri si fermavano al Perlar, a far sosta par un goto, un bicchiere di vino, e a
far riposare el musso sotto il grande
albero, prima di passar a la pesa del
Dassio.
I nomi delle vie
Dalle nostre parti i nomi alle
vie sono stati assegnati soltanto dopo la guerra, con la grande urbanizzazione
che ha cambiato il volto ai paesi.
Prima, per indicare i luoghi, si
faceva riferimento ai nuclei familiari
che detenevano la proprietà, oppure al nome delle famiglie insediate abbastanza
stabilmente da segnare il territorio col proprio nome.
I luoghi si chiamavano perciò: dai
Costansi, dai Alegri, dai Signorini, dai Vassaneli, dai Zopi, dai
Balini (distinti in: Balini
de la cesa e Balini de le Stele).
In alcuni casi, quando la
proprietà cambiava padrone, il nome originario poteva essere mantenuto, e con
esso i ricordi, fino a che se ne perdeva
memoria e finché i nuovi proprietari acquistavano un ruolo di rilievo nella
società.
Il nome del luogo poteva cambiare
anche quando gli inquilini di vecchia data facevano sanmartin.
A fine contratto di lavorenzia,
in genere il giorno di San Martino, i
bacani caricavano le poche cose su un carretto, magari preso a nolo dal Biciclin, che gavea anca el musso,
o da Tano Baricata e traslocavano in
altri luoghi, da cui il detto far el sanmartin.
Ma per far storia, lasciare cioè
il proprio nome al luogo, bisognava aver avuto un lungo e buon rapporto di
mezzadria e ottime relazioni all’interno della piccola comunità.
In genere dei mezzadri ci si
dimenticava in fretta.
I luoghi prendevano il nome anche
da elementi del paesaggio urbano o naturale: al Pigno (sopra Quinto ma anche sopra Vendri) alla Crose, per una piccola croce su basamento posizionata
all’incrocio di più strade, a Quinto, dove girava la processione del Corpus
Domini e delle Rogazioni; al Ponte de
banda (o de fero) sopra il progno; alla Preara (cava di pietra), ai Mulini (di Marzana), per l’esistenza
di mulini dal Medioevo a dopo la guerra,
alle Are: toponimo di
derivazione romana? Certo luogo fecondo di emergenze archeologiche.
Anche Lumialto, terre alte, toponimo di antica origine, attestato in Alto
Medioevo come Limetalto, prende il nome dall’elevazione della contrada sul
conoide.
Il toponimo la Valalta, sopra Sezano, richiama la valle alta.
Il Nogaroto richiama l’esistenza di una nogàra o nosàra (albero
delle noci)
La Canova o Ca Nova di Poiano è un toponimo di contrada che ricorda
un nuovo edificio (Casa Leonardi) mentre le Casenove
sono le case Agec o case Fanfani, costruite nel dopoguerra in tutti i paesi
per dare un tetto a tutti.
C’erano poi le località che
prendevano il nome dalla funzione ancora esercitata: ala cesa, ala strà (di cui si è detto), ala fontana, al fontanon, ale scole, ala posta de le Giacomini, ala posta
dal Lista, ala botega de le Mariane, ala
botega de la Barbarina ... e capirsi
non era mai un problema.
M.V.
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