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sabato 3 novembre 2012

CONFINI


Confini di Quinto

 Dai Malfatti una stradina portava dall’altra parte della valle, attraversando il progno, il torrente, sul ponte de banda.
Percorrendola si arrivava  ad  incrociare la pedemontana orientale e poi ai paesi di S. Maria in Stelle, Sezano e Vendri, piccoli francobolli di case rurali ma anche luoghi antichi, ricchi di storia e di alcune ville prestigiose.
La stradella si snodava tra alte siepi di rovi e biancospini, colorate in primavera da rose canine ed, in tarda estate, da more di rovo.
La meta di noi bambini era un albero de caròbole, di carrube, a metà percorso. Anche allora le carrube erano cibo per i cavalli, tuttavia a noi bambini piacevano molto e ne sgranocchiavamo velocemente i bordi dolciastri, usando gli incisivi come scoiattoli e ricavandone un grande piacere.

 El ponte de banda (o de fero) era, nel linguaggio comune, un punto di riferimento spaziale, un vero e proprio confine territoriale con Stelle.
Questi punti immaginari, non scritti ma definiti dalla consuetudine, segnavano i confini dei paesi e davano spesso origine a conflittualità più o meno scherzose, tra gli abitanti.
Si affermava: 
- Dopo el ponte de banda gh’é quei de le Stele. -
Per circoscrivere e limitare il raggio delle esplorazioni infantili, si diceva ai bambini:
- Rento al progno gh’é le anguane che  te ciapa -
In tal modo li si tenva lontani dai luoghi pericolosi. Non bastava perchè noi si andava comunque.

Queste Anguane o Acquane erano presenze misteriose, serpenti volanti; figure magiche urlanti la cui presenza vicino ai luoghi d’acqua ha riscontri culturali su uno spazio geografico assai ampio dell’Italia settentrionale, dalla valle dei Camuni all’Istria. Derivano probabilmente dalle Meduse romane, dalla testa incoronata di serpenti. Prevedono il futuro ma non hanno memoria del passato. Sono creature fantastiche e orripilanti, secondo nonna Tina (classe 1923).
Nel vicentino le Anguane vengono descritte invece come buone madri e massaie, che al tramonto si trasformano, soggette a regole di un mondo misterioso e nascosto.
Nel Friuli la loro voce è testimoniata come armoniosa e il loro richiamo è definito dolce e seduttivo.
Fra’ Giacomino da Verona, rimatore della seconda metà del  XIII° secolo esclamava:
 “Né sirena né aiuguana, né altra cosa che sia.”
 Da noi le anguane erano rappresentate come brutte, urlanti e malvagie.
- Te sighi come ‘na ‘nguana - si diceva a chi alzava troppo il tono della voce.

 
Il confine di Quinto con Marzana, il paese più su, verso nord, era segnato dal dosso formato dal conoide del Vajo delle Antane, vicino all’attuale Scuola Media Caperle, ai tempi della mia infanzia ancora adibita a colonia degli Orfani di Guerra.
Ricordo questi orfani, i cui padri morirono nelle seconda guerra mondiale; alcuni frequentavano la mia scuola. D’inverno si coprivano di un tabarro scuro, una larga mantella blu; tuttavia le gambe restavano scoperte e le ginocchia erano spesso arrossate dalle buganse, dai geloni,  e livide di freddo. Erano guidati da un maestro, che li accompagnava in fila ovunque dovessero andare, in genere soltanto a messa e a scuola. Quando noi si passava vicino al loro collegio, in certe ore si poteva vederli giocare nel cortile, vicini, ma lontani dal nostro mondo, divisi dalla recinzione che ne limitava le libertà. A noi facevano pena.
Percorrevamo la stradina pedemontana che si snodava tra i campi per andare a scola da la Ida. Oggi la strada non esiste più, interrotta dall'ospedale. Sbucava vicino al cancello dell'USSL dove ricordo una fontana a vasca per i panni con a fronte la fontanella per la presa dell'acqua per usi domestici.

 A sud, un altro confine, accettato come tale dalla comunità, era rappresentato dal sasso del diaolo, grossa pietra che si trova ancor oggi sulla strada pedemontana occidentale, dopo la Casa di Cura Santa Chiara, sulla parte finale del conoide del Vaio del Prete, là dove, (narrano le leggende paesane), il prete di Quinto confinò con le benedizioni tutti i serpenti che infestavano i vegri e le campagne.
Il sasso serviva, ai tempi della mia infanzia, a dare un confine alla libertà d’azione dei bambini della contrada de la Crose; oltre il sasso c’era el diaolo che el te porta via, il diavolo che ti rapisce.
Il sasso del diaolo era anche un punto fisico preciso, di difesa del proprio campanile. Oltre questo limite gh’era quei del Figarèto e de Sisègo, altre piccole contrade, prima di Poiano.
 
Una strada in salita partiva dalla Crose e portava al Fontanon, fontana e lavatoi con diritto pubblico alle acque ma insediati su terreno privato. L'interruzione della condotta a causa di un erpice maldestro ha fatto interrompere l'erogazione. Il disinteresse di AGSM e Circoscizione, più volte interpellate dal CiViVi, ha permesso la perdita definitiva della fontana pubblica. 

 
Oggi i vecchi abitanti tengono ancora in conto le separazioni e i confini ma con molta leggerezza, in forma labile e scherzosa, quasi si vergognassero.
Richiamano vecchie cante o vecchi detti che riassumono pregi o difetti di questa o quella comunità; un ultimo tentativo per rivendicare l'appartenenza al territorio anche se ormai, in Valpantena, si sta passando dal senso di orgogliosa, totale, appartenenza  ad un mero e più anonimo senso di residenza, e le distinzioni tra zone e vie hanno solo il significato di reperibilità per il postino o l’ufficiale giudiziario.

Forse, prima o poi, insieme ai nostri vecchi, ai loro ricordi, alle loro storie, ai loro punti di riferimento e alle loro cante spariranno anche i nomi dei paesi …

Eravamo quei de Quinto, de Marsana, de Poian, de le Stele … quei de la Valpantena che la merenda ghe scusa par sena ...
Forse, tra un po’, ci dichiareremo soltanto per quei che stà, che abitano, in Valpantena, ma potrebbero abitare in qualsiasi altro posto, senza radici e con provvisorietà.

La Valpantena diventerà una anonima periferia urbana?
 
M.V.

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