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mercoledì 13 aprile 2011

NOTE DI LINGUA VENETA. Prima puntata

Leggere Giovanni Rapelli, La lingua veneta e i suoi dialetti, Perosini Editore, 1999, è un piacere che ti regala parecchie sorprese.
E’ capitato tra amici di discutere su una passabile traduzione di “Gh’è spussa de freschìn” mettendo alla prova le nostre conoscenze dialettali ma Rapelli ci  offre tanti altri modi di dire del dialetto veneto che meritano di essere messi in tavola, per ravvivare la conversazione.

Cascar de ropeton:  cadere ruzzolando? No,cascar de ropeton  non è la stessa cosa che rugolar zo da le scale. 
Cascar de ropeton con una espressione breve e colorita dice quello che in italiano richiederebbe un lungo giro di parole: “Piombare giù con forza e con esito  disastroso, pesanti come un macigno”.

E pensando al macigno mi viene in mente el maròcolo la versione più piccola del macigno: non il sasseto che te tirai nei veri per richiamare l’attenzione della butéla. 

Gnanca el sasso che con una pessatà finiva nel vetro dell’antiporta, rompendolo. 

Nemmeno la piera sulla quale i vecchi sedevano a prendere l’ultimo sole del  pomeriggio, e neppure la scaja, quella con cui giocavi a peta  da bambina.

El marocolo è un sasso un po’ grande, più grande di un sasso qualunque, è irregolare, perverso nella conformazione, subdolo, spesso aderente al terreno da esser un tutt’uno con esso.
Il marocolo, se lo prendi con le ruote della mountanbike, ti ritrovi a terra, rintronato e con la ruota svergola.

Ecco … e svergolo come lo traduco?  Dubbi e dubbi; da conferenza, più che da semplice convivio tra amici.

Rapelli ce ne dice un’altra: Tira mola tampela modo di dire perfetto per non dire e non raccontare una lunga rosaria di cose fatte o accadute.
Semplificazione tutta veneta: Tira mola e tampela e son rivà tardi.
Scusa di tutti i ritardatari incalliti o dei perditempo irrimediabili.
Tira mola tampela e no ghe l'ò fata a finir el laoro.

In italiano la lumaca è lumaca e basta.
In dialetto veneto la lumaca l’è bogon, bogonela, slimasso (Rapelli dice slugamasso). Dipende da com’è.

E lo stesso vale per il chiodo.
In italiano c’è il chiodo e c’è il chiodino.
In dialetto abbiamo: ciodo, ciodin, semensina, broca e, brocheta;  e guardiamo bene da non confonderle perché non sono la stessa cosa!
Se devi appendere un quadro non chiedere la semensina, non lo reggerebbe.

Gh’è un tuin… chissà come tradurlo in italiano … .
Non è solo odore di chiuso ma anche qualcosa di più. Provate a pensarci.

Te vedi la stria. Rapelli traduce in italiano: Vedere con la coda dell'occhio un balenio rapidissimo.
Noi in Valpantena lo usiamo anche in altro modo: In tempo de guera ò visto la stria. Traduzione: Durante la guerra ho avuto paura, fame, freddo, ho visto la miseria  più nera …
Oppure: El m'à schivà par un pel che ò visto la strìa. Traduzione: ho preso un grande spavento.

L'era beeelo: non vuol dire che aveva un bell'aspetto ma, se si carica sulla vocale significa che il tale era sbronzo (ma non molesto o cattivo)

Me vegnù un sbociòn da ridar: e ti viene da sorridere soltanto a dirlo.
Tradurre sbocion con sbocco è brutto e poco allegro.
Sboco noi lo usiamo per sboco de vomito (anche e impropriamente gomito) oppure sboco de sangue.
Per la risata:  el sbocion! Ed è già allegria.

 
M.V.

(continua alla prossima)

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