Marzana - Osteria Mantovani col Momi cantinier. Anni Cinquanta. Foto Arturo Slemer - Archivio CiViVi |
Talvolta, nella tarda mattina, accompagnavo il papà al bar vicino a casa, bar gestito dal Momi cantinier.
Momi era detto cantinier perchè in precedenza aveva lavorato nella cantina del brolo degli Arvedi.
Di solito il premio per una giornata da brava bambina era una spuma dalla tinta vivace, dal sapore frizzante che raschiava la gola ed era di colore arancio forte, che sembrava finto. C'era anche quella rossa, al bitter che ai bambini non piaceva.
Sul banco c'era un vaso con le uova sode sbucciate, immerse in un liquido sconosciuto; col tempo prendevano un colore violetto. E c'era il grande vaso panciuto con le cipolline sotto aceto.
Sugli scaffali ricordo la China Martini, il Mandarinetto Isolabella e il Cynar ma Momi vendeva soprattutto vino, vino bianco e vino rosso. C'era anche una macchina per il caffè ma la richiesta più frequente e spiccia era: "Momi, dame un goto de bianco" (o de rosso, a seconda dei gusti e dell'ora).
In casi eccezionali, come la promozione, Natale o S. Lucia, la consueta spuma che papà mi offriva era accompagnata da un boero incartato con una scoppiettante carta stagnola rossa.
In casi eccezionali, come la promozione, Natale o S. Lucia, la consueta spuma che papà mi offriva era accompagnata da un boero incartato con una scoppiettante carta stagnola rossa.
Momi teneva i boeri bene in vista sul banco, infilati in un lungo chiodo di metallo. Se all'interno trovavi stampato un numero (era l'1 in genere; ma comunque raro) avevi diritto a un secondo boero. Che festa!
Conservavo a lungo e con cura la stagnola del boero nel quaderno di scuola, come un tesoro prezioso e raro e affrontavo il boero succhiandolo con gusto, attenta a non perdere neanche una goccia del liquore zuccherino che copriva la ciliegia.
Avevo sei anni, ero alta, esile e sognavo di fare la ballerina.
Al bar del Momi, sotto gli sguardi compiacenti dei pochi avventori e lo sguardo orgoglioso di papà, si ripeteva ogni volta lo stesso rituale:
Momi, con aria benevola chiedeva: “Dime qua bela, cossa vuto far da grande?”
Io rispondevo, con con gli occhi scintillanti: “La ballerina”.
Avevo sei anni, ero alta, esile e sognavo di fare la ballerina.
Al bar del Momi, sotto gli sguardi compiacenti dei pochi avventori e lo sguardo orgoglioso di papà, si ripeteva ogni volta lo stesso rituale:
Momi, con aria benevola chiedeva: “Dime qua bela, cossa vuto far da grande?”
Io rispondevo, con con gli occhi scintillanti: “La ballerina”.
E il Momi: “Ma va' dai … sìto almànco bona de balàr?”.
Io, che apposta mi ero messa le pantofole di feltro, mi alzavo sulle punte, allungandomi verso l’alto, librandomi verso futuri immaginari successi di palcoscenico.
Il Momi e i pochi avventori applaudivano per compiacenza e io tornavo a casa felice.
Poi i passaggi degli aerei nel cielo, con lunghe scie bianche che rigavano la valle da est a ovest, si fecero più frequenti ed io, seguendo nuovi sogni e nuove aspirazioni, cominciai a dirottare le mie attenzioni verso nuovi obiettivi.
Fare l'hostes doveva essere proprio un bel mestiere ...!
Poi i passaggi degli aerei nel cielo, con lunghe scie bianche che rigavano la valle da est a ovest, si fecero più frequenti ed io, seguendo nuovi sogni e nuove aspirazioni, cominciai a dirottare le mie attenzioni verso nuovi obiettivi.
Fare l'hostes doveva essere proprio un bel mestiere ...!
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