Intermezzi musicali con il Quartetto d'archi Suavis e voce recitante di Giovanna Scardoni. Pubblico attento e grande successo.
Cosa c'entra con la memoria?
La memoria ha percorsi suoi, diversi per ciascuno.
L'argomento come è stato impostato da Marta riportava indietro di trent'anni le nostre riflessioni sul ruolo della donna. Io mi sono lasciata portare dai miei ricordi.
La madre di Marta definiva donna de sentiment colei e coloro che ragionavano con la testa e con il cuore. Una prerogativa delle donne, nel loro ruolo certo e definito da una società tutta al maschile.
Difficile trovare una espressione analoga, così ricca di significati, nel nostro dialetto. Se la trovate comunicatemelo.
Potremmo avvicinare a dona de sentiment (dialetto trentino della madre di Marta) il nostro l'è na dona che gà le viste"(dialetto veronese). La definizione resta comunque incompleta perchè "metterci del sentimento" è qualcosa di più, è un valore aggiunto. Vedere tutto non significa ancora il vedere con sentmento.
Si diceva anche l'è na dona che la gà giudissio ma siamo sempre e soltanto su un piano strettamente razionale, quasi contabile.
La prozia Angela classe 1902, diceva: L'è na dona che gà rispeto umano si adattava a situazioni diverse tra loro però sostanzialmente nella comparazione è la definizione che si avvicina di più perchè tira in ballo le emozioni: sensibilità, empatia, dedizione, rispetto di se stessa e degli altri ...
C'è infine una espressione suggerita da un'amica che può calzare: l'è na dona de sestin. Per qualche ragione oscura però quel sestin sentito tante volte nella mia infanzia e adolescenza, l'ho sempre associato alla precisione e al buonsenso.
Il Rigobello, Lessico dei dialetti nel territorio veronese, traduce sésto con: buona maniera, comportamento corretto e composto, garbo.
Non so se il veronese sestin può contenere le stesse intenzioni del trentino sentiment.
A spanne credo di no. Almeno non completamente.
Bello e completo perciò questo Donna de sentiment che ci è stato proposto.
Sulla donna cadevano tante responsabilità, soprattutto di conduzione della casa e di cure parentali, di sostegno all'uomo e al suo lavoro, di educazione dei figli, persino responsabilità di armonia e pace familiare; da noi si diceva che "l'è la dona che fa e disfa la fameia".
Le donne sfornavano figli con cadenza annuale; la donna era sessualmente a disposizione del maschio, il controllo delle nascite veniva praticato in qualche modo, anche in maniera pericolosa per la salute e l'incolumità, col ferro da calza e infusi di prezzemolo.
Le donne allattavano i bambini fino a due, tre anni, convinte che era meno facile restare incinte se si aveva ancora il latte.
Poi c'era la mortalità infantile ma c'era poco tempo per il dolore, i piccoli morivano in tenera età e ne nascevano altri.
Mentre Marta parlava della donna sempre più protagonista nella società odierna io pensavo a due brani dell'intervista che con Lorena abbiamo fatto ad Attilio C. di Quinto classe 1927.
Trascrivo, ancora sotto l'emozione della bella serata, quanto ci ha raccontato Attilio sul ruolo della donna in Valpantena:
Attilio: I buteleti i morea anca a du ani e mezo, tri……piccoli, i
ciapava 'na polmonite e via.
Siè la ghe n' ha perso me mama!
Se ghè un Paradiso me mama la dovaria esser lì. La laorà
gran tanto.
Poarine le donne!
No le
gavea gnente de gnente.
Le cominciaa a lavorar che gh’era ancora scuro.
Ahhh. Le meio che no me ne vegna pì in mente altro, parchè
disea … ahhh pora bestia!L'intervistatrice: Credo che no ghe fosse neanche na gran diffarensa da come te trattai le bestie e come trattavi i cristiani!?
Attilio: Eh no, le bestie te le trattai meio !
Con le bestie te podei
laorar e te magnai alora, Maria!
Erimo sedese fioi. Quando la mama coseva el
cunèl, la fasea i tochi e per non far preferenze la metea la teia in mezo a la tola e la
disea:
“Atenti che ghe ne sia par tuti!”
L'intervistatrice: C’era qualche furbetto?
Attilio: Ah no, èrimo ben allevé perché te avaressi tolto anca el galon ma quel l'era par el pupà!
E a me mama, qualche volta, restava
solo la teia da pociar!
Io credo che "L'è na dona de sestin" faccia il caso nostro. Il buonsenso femminile era il frutto di millenario allenamento. Ciao e grazie di farci riflettere. Margherita
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